Storie di oggetti (e di sogni) perduti.

Musei contemporanei per ritrovarsi.

Serena Dal Puglia,

Giugno 2022

Man mano che la nostra anima si concentra sugli oggetti, possiamo sentire nel nostro cuore spezzato il mondo nella sua interezza e accettare le nostre sofferenze. Ciò che rende possibile questa accettazione è custodito negli sguardi degli spettatori: non è alla bottiglia di gassosa che Kemal aveva conservato per anni vicino alla testiera del letto perché Füsun l’aveva sfiorata con le labbra, né al cuore di porcellana rotto che ci rivolgiamo, ma alla folla che c’è dietro, all’altro mondo, a un luogo fuori dal Tempo – a voi.

Orhan Pamuk, 2012[1]

In svariati progetti contemporanei di musei permanenti e mostre temporanee, i sentimenti della perdita e del lutto hanno guidato la costruzione di raccolte e di collezioni di oggetti, protagoniste di esposizioni, anche fortemente sperimentali.

In esse, la cultura materiale viene portata al centro della narrazione. L’oggetto comune, anonimo per origine, ma intimamente familiare, tangibile, in una riconosciuta capacità di evocare e di ricomporre la memoria di momenti andati in frantumi, fornisce al visitatore un’opportunità significativa di condivisione empatica, sia sul piano umano, suscitando un nucleo di sentimenti e di emozioni profonde e condivisibili, che su quello storico, individuando e avvicinando i visitatori ai principi fondamentali di convivenza di una società collaborativa. La reazione psicologica suscitata dal rapporto diretto con l’oggetto, sopravvissuto alla perdita, è per il visitatore l’inizio di un processo di riconoscimento (di catarsi e accettazione del dolore) ritrovato in un comune sentire, collettivo, universale.

Concepiti come luoghi dell’incontro e della relazione, i musei contemporanei si aprono alle comunità e alle storie individuali, perseguendo l’obiettivo di una necessaria rivoluzione culturale, che favorisca la costruzione di un terreno di dialogo e di cooperazione tra gli individui, discutendone le dimensioni etiche e indagando su come essa possa dirigersi verso la creazione di una società globale sinergica e interconnessa.

All’interno delle politiche museologiche contemporanee si assiste ad un radicale cambio di paradigma che interviene nelle scritture espositive e nelle strategie di emotional engagement. Nuove strategie di audience development[2] sottolineano l’importanza dell’accessibilità museale, descritta attraverso l’attivazione di processi progettuali coinvolgenti e partecipativi che, tramite una costruzione narrativa significativa, sappiano produrre connessioni, condivisione e consapevolezza[3].

Con pesi e sfumature diversi, una grande quantità di progetti costruiti “dal basso” costituiscono riferimenti strategici per attivare un’ampia riflessione sul significato e sul ruolo delle produzioni culturali nella contemporaneità e sull’importanza del dialogo e dell’inclusività in processi progettuali innovativi, in grado di intervenire nelle politiche del quotidiano generando effetti positivi per le persone e per le comunità.  

Intorno all’empatia sono nate numerose e nuove forme di pensiero poste alla base di molti progetti contemporanei[4]e di buone pratiche sociali, basate sulla cooperazione, all’interno di processi di produzione (e condivisione) culturale. In queste nuove prospettive di patrimonializzazione, anche interamente gestite dalle comunità, il design, quale facilitatore dialogico e relazionale, in grado di saper leggere e interpretare la complessità dei fenomeni, si trova sempre più spesso ad operare all’interno di strategie progettuali che sappiano sviluppare nuove modalità di condivisione e sappiano generare cultura e consapevolezza identitaria.

Nello scenario contemporaneo, il design può definirsi come un attivatore sociale, in grado di orientare la società al benessere collettivo promuovendo comportamenti collaborativi mediante l’attivazione di esperienze condivise[5].

In tali nuove prospettive, i musei sono a un punto di svolta per il ruolo e la rilevanza che si propongono di assumere all’interno della società contemporanea. Essi possono assumere un ruolo proattivo nella costruzione e diffusione di conoscenza, coinvolgendo il pubblico nei processi di produzione di contenuti scientifici e culturali[6] e nella costruzione di un sistema valoriale comune. 

L’ambito multidisciplinare dell’exhibition design, presente nell’interezza dei processi, interviene nella progettazione di un ambiente relazionale fortemente comunicativo, narrativo, proiettato al coinvolgimento delle persone e alla promozione di trasformazioni socio-comportamentali da diffondere in un campo d’azione comune. All’exhibition spetta il ruolo di decidere come rappresentare la storia che le collezioni raccontano, in modo da creare connessioni ed attivare relazioni e cooperazione, senza generare sovrastrutture di significato, ma ponendo al centro gli oggetti e la narrazione (salvifica) dei quali si fanno portatori.

 

Storie di oggetti, di sogni, d’amore perduti. I progetti.

Il Jüdische Museum di Berlino è il progetto capostipite di una pratica espositiva – e di rinnovate ragioni museologiche – che, facendo leva sulla capacità degli oggetti di istituire un rapporto di prossimità emotiva e di immedesimazione del visitatore con la perdita subita dalle vittime del genocidio nazista, in un processo di rispecchiamento e di conoscenza, promuove una preziosa presa di coscienza utile alla previsionalità di azioni future pacifiche e filantropiche[7].

Gli oggetti narrano le storie personali che contribuiscono ad evidenziare aspetti controversi e nascosti rispetto la storia ufficiale. Le implicazioni culturali, storiche, sociali, affettive contenute in essi li rendono strumenti dal forte grado relazionale e testimoniale, «che un giorno diranno chi siamo alle generazioni future»[8].

La vicinanza fisica ed emotiva suscitata da oggetti di uso comune, si colloca alla base di una serie di progetti contemporanei la cui missione culturale di ricordare, e nel contempo denunciare, l’orrore di violente azioni di odio e intolleranza a svantaggio di minoranze etniche, si realizza attraverso la raccolta, la conservazione e l’esposizione di collezioni di oggetti appartenuti alle vittime[9] (Fig. 1), che acquisiscono un significato straordinario[10] di speranza. Nella mostra Stories of survival: object image – memory organizzata dall’Illinois Holocaust Museum & Education Center, più di 60 oggetti personali portati in America dai sopravvissuti all’Olocausto e al genocidio in tutto il mondo (tra cui Armenia, Bosnia, Cambogia, Iraq, Ruanda, Sud Sudan e Siria) sono esposti insieme alle fotografie del documentarista Jim Lommasson (Fig. 2). Le storie scritte a mano dai sopravvissuti e dai loro familiari sono restituite graficamente in composizione con le fotografie degli oggetti in mostra; il racconto di vite strappate ad una placida quotidianità si fa più vivo; il visitatore lo sente vicino, tangibile, potenzialmente proprio.

Il progetto per un Museo, Archivio e Centro sulle migrazioni del Mediterraneo[11] di Lampedusa, nato con l’obiettivo di costituire un museo diffuso che avrebbe custodito gli oggetti recuperati dai soccorritori nei barconi in fondo al mare, nasce come «luogo di accoglienza e di riflessione per raccontare, attraverso l’archivio e i suoi materiali, le storie delle culture migranti e i processi in atto nel Mediterraneo»[12]. Nel contempo l’attività di ricerca antropologica, storica e artistica, riconosce ai reperti un valore di testimonianza storica fondamentale, attraverso cui leggere e interpretare i fenomeni migratori, entro una dimensione umana di carattere universale. Sviluppato da un team di storici dell’arte, antropologi, esperti di migrazioni, l’obiettivo di una fondazione che accogliesse le competenze delle persone migranti e le integrasse in un percorso inclusivo, coniuga l’approccio scientifico ad una dimensione politica e sociale[13]. In mostra, nella loro nudità essenziale, gli oggetti esposti sono i simboli di una materialità reputata indispensabile per poter affrontare il viaggio verso il sogno di una vita migliore. L’apertura del Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo[14], nella stessa isola, con l’intento di confrontare e «ricomporre la storia millenaria del Mediterraneo, con le sue straordinarie e variegate espressioni culturali, ma anche i suoi drammi»[15], struttura un percorso espositivo di oggetti che trova il culmine significativo in un racconto multimediale di suoni e immagini in movimento, una stanza del naufragio (Fig. 3), nella quale l’enfasi dell’esperienza della traversata, ne racconta e ne trasferisce la fatica, il rischio di chi è disposto a perdere tutto nel desiderio di trovare il futuro.

La scrittura museale di questi progetti incarna l’idea di un museo inteso quale dispositivo disciplinante, catartico, capace di neutralizzare (o convogliare come energia positiva) il portato emotivo, doloroso della perdita e della separazione, attraverso il potere degli oggetti esposti.

Situato nel palazzo barocco di Kulmer nella Città Alta di Zagabria, il Museo delle relazioni interrotte, fondato dalla produttrice cinematografica Olinka Vištica e dallo scultore Dražen Grubiši, al termine della loro storia d’amore durata quattro anni, si nutre di collezioni di oggetti donati da ex amanti[16], basandosi su un processo di patrimonializzazione interamente affidato alla comunità e alle storie individuali. Lo spazio espositivo del museo[17], in un ambiente terso e interamente bianco, espone con essenzialità la collezione dei reperti (Fig. 4). In mostra con il riferimento della data e del luogo della relazione (unico tratto biografico che li contraddistingue) gli oggetti, esclusivamente accompagnati dalle annotazioni e dai micro-racconti scritti dai donatori medesimi, divengono i protagonisti di “‘percorsi consapevoli di ’accettazione” della perdita e della separazione[18], estensibili ad un’esperienza  universale[19] (Fig. 5).

Ispirato all’omonimo romanzo di Orhan Pamuk, il Museo dell’Innocenza di Instanbul raccoglie gli oggetti ossessivamente collezionati da Kemal, in ricordo dell’amata Füsun.

Nelle piccole teche lignee che scandiscono i capitoli dell’opera letteraria, gli oggetti esposti sono in grado di rivelare emozioni e significati del tutto nuovi, grazie alla relazione che instaurano tra essi (Fig. 6).

«L’operazione concettuale condotta da Pamuk rende gli oggetti racchiusi nelle vetrine (oggetti trovati, quotidiani, non preziosi, scovati nei mercatini istanbulioti) non importanti in quanto originali ma in quanto dispositivo di narrazione»[20]. I micro-paesaggi raccontati dagli oggetti nelle teche/wunderkammer di Pamuk, entrando in risonanza con la sfera più emozionale e intima di ogni persona, affondano nel repertorio privato emotivo personale.

Nel contempo, le implicazioni culturali contenute negli oggetti divengono anche l’espediente narrativo per ricostruire il racconto significativo di un’intera nazione, della sua cultura, dei suoi usi e costumi, delle persone che la abitano. Tre tipi di impianti audio[21] presenti nel museo contribuiscono a restituire il paesaggio sonoro quotidiano della Istanbul all’epoca in cui si svolge la storia del romanzo (il sibilo di un battello a vapore, il fischietto di una guardia notturna, le voci squillanti del venditore di boza e quelle dei passanti), immergendo lo spazio espositivo del museo (e il visitatore) in un’atmosfera immersiva e coinvolgente.

«Costruiti intorno alle persone e alle loro storie, nelle quali anche gli oggetti più quotidiani acquistano forza e pregnanza»[22], i musei della contemporaneità[23] riguardano visioni e orizzonti desiderabili verso i quali muoversi, come scenari all’interno dei quali attivare processi di comprensione dell’altro, promuovere contesti di azione favorevoli all’uomo e alla comunità globale, mettendo in gioco i comportamenti culturali delle persone, la loro stessa antropologia culturale, la loro disponibilità ad aprirsi. Si tratta di obiettivi complessi, ma la sfida per riportare gli istituti museali a svolgere un ruolo di primaria importanza nella società contemporanea rende necessario interpretare e reinterpretare i processi culturali come portatori di innovazione, utilizzando, nel caso dei musei, anche le collezioni e gli oggetti per la creazione di nuovo valore e di orientamento al futuro[24].

Bibliografia

Libri

  • Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo della crisi, Milano, Mondadori, 2010
  • Isabella Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, Roma, Laterza, 2010
  • Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Museo dell’innocenza, Istanbul, Torino, Einaudi, 2012
  • Ezio Manzini, Design, When Everybody Designs. An Introduction to Design for Social Innovation, Massachusetts, London, The MIT Press Cambridge, 2015
  • Olinka Vištica e Dražen Grubišić, Il museo delle relazioni interrotte. Ciò che resta dell’amore, in 203 oggetti, Milano, Mondadori, 2018
  • Michela Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Milano, Editrice Bibliografica, 2019

Articoli

  • Mara Rossi, Life Behaviour Design, in «DiiD» 58/14D, 2014
  • Anna Chiara Cimoli, Musei, pregiudizi, empatia. Gettare il corpo nel dialogo in «Roots and Routes. Research on visual cultures», 2016
    https://www.roots-routes.org/musei-pregiudizi-empatia-gettare-corpo-nel-dialogoannachiara-cimoli/
  • Mara Rossi, Migliorare i comportamenti e le relazioni sociali mediante l’innovazione dei processi partecipativi driven design in «I+Diseño», Vol. 11, aprile, 2016
  • Elena Inchingolo, NUOVE PROSPETTIVE MUSEOLOGICHE: LA CULTURA COME DISPOSITIVO DI RELAZIONE ED INCLUSIVITÀ in «Il Giornale delle Fondazioni», Umberto Allemandi & C., 2018. http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/nuove-prospettive-museologiche-la-cultura-come-dispositivo-di-relazione-ed-inclusivit%C3%A0
  • Maria Giovanna Mancini, Soggettività ed empatia: il Museo delle Relazioni interrotte di Zagabria in Invernizzi S., Maillet A., Villa G. C. F.  (2019), (a cura di), Dove va il museo, Centro Arti Visive Università degli Studi di Bergamo, 2019 Disponibile su http://cav.unibg.it/elephant_castle

Note:

[1] Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Il museo dell’innocenza, Istanbul, Einaudi, Torino, 2012 (1 ristampa, 2015), p. 195.

[2] «La rilevanza del coinvolgimento dei pubblici nei beni culturali e nei musei è vista da tempo dall’Unione Europea come uno dei temi sui quali concentrare ricerche e risorse; nelle linee di indirizzo “l’audience development e l’audience engagement, ovvero le strategie per dialogare anche con i pubblici tradizionalmente lontani dalle frequentazioni museali, si ripongono, infatti, grandi attese per una più incisiva capacità di allargamento della platea di riferimento, nella consapevolezza del fatto che la mancata partecipazione delle persone alla cultura ha effetti limitanti e sperequativi anche in termini culturali, sociali ed economici”[...]». In Michela Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Editrice Bibliografica, Milano, 2019, pp. 64, 65.

[3] Mara Rossi, Migliorare i comportamenti e le relazioni sociali mediante l’innovazione dei processi partecipativi driven design in «I+Diseño», Vol. 11, aprile, 2016, p. 65.

[4] Per citarne soltanto alcuni: l’ottava edizione dell’International Design Biennial di Saint-Etienne (14-31 marzo 2013) ha proposto come tema portante Empatia, l’esperienza dell’altro che ha prodotto fruttuose riflessioni collettive e da cui sono nate interessanti mostre ed esposizioni. L’Empathy Museum di Londra (2015), tramite l’attivazione di esperienze performative partecipative, indaga (e promuove) l’attitudine della gente di saper entrare nell’esperienza degli altri.

[5] Mara Rossi, op. cit.

[6] Michela Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Editrice Bibliografica, Milano, 2019

[7] Maria Giovanna Mancini, Soggettività ed empatia: il Museo delle Relazioni interrotte di Zagabria in Invernizzi S., Maillet A., Villa G. C. F. (2019), (a cura di), Dove va il museo, Centro Arti Visive Università degli Studi di Bergamo, 2019 Disponibile su http://cav.unibg.it/elephant_castle

[8] Neil MacGregor, La Storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi, Milano, 2012, p. 660.

[9] Nel sito 50 Objects/Stories. The American Japanese Incarceration sono virtualmente esposti 50 oggetti dell’omonimo progetto, che narrano le storie delle vittime dell’internamento dei giapponesi negli Stati Uniti, avvenuto nel corso della Seconda guerra mondiale. Per un approfondimento vd. https://50objects.org/

[10] «WHEN YOU’VE LOST EVERYTHING, A SINGLE OBJECT CAN TAKE AN EXTRAORDINARY MEANING» è lo slogan della mostra Stories of survival: object - image - memory (19 Luglio 2018 – 13 Gennaio 2019) organizzata dall’Illinois Holocaust Museum & Education Center in collaborazione col documetarista Jim Lommasson.

[11] Nato a Lampedusa da un’iniziativa del collettivo Askavusa, che ha salvato dalla distruzione e collezionato centinaia di oggetti appartenuti alle persone migranti sbarcate sull’isola dal 2008. Insieme alle associazioni Isole e AMM-Archivio delle memorie migranti, nel 2011, il progetto si è sviluppato sotto la guida e il coordinamento del professore Giuseppe Basile.

[12] In https://isole.blog/isola-06-2/museo-delle-migrazioni-di-lampedusa/

[13] La prima fase del progetto ha visto la creazione di un sistema di catalogazione e di conservazione che tenesse conto di tipologie molto diverse di oggetti (da indumenti a stoviglie, lettere personali, fotografie, diari, album di fotografie); la seconda fase ha portato alla collaborazione con la BCRS, Biblioteca Centrale della Regione Sicilia che ha realizzato il restauro vero e proprio e la messa in sicurezza dei reperti cartacei.

[14] Inaugurato a Lampedusa il 3 giugno 2016, il museo nasce da un progetto collaborativo del Comitato 3 ottobre, con il Comune di Lampedusa e Linosa, il MIUR e l’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra. Il museo contiene anche alcuni reperti storici forniti dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra che ricordano i tanti profughi causati dalla Seconda Guerra Mondiale nel nostro paese, le cui sofferenze sono ora rivissute da tutti coloro che nel mondo fuggono per cercare una terra più sicura.

[15] In http://musei.beniculturali.it/progetti/lampedusa-verso-il-museo-della-fiducia-e-del-dialogo-per-il mediterraneo

[16] La collezione è stata esposta al pubblico, per la prima volta, nel 2006, nella gipsoteca di Zagabria, in occasione del 41º Salone d’arte di Zagabria. Nel 2011 l’iniziativa ha ricevuto il premio Kenneth Hudson per il museo più innovativo d’Europa.

[17] Il museo contiene anche un Confessionale, che costituisce uno spazio dedicato all’interazione con i visitatori, in cui questi possono conservare i propri oggetti o messaggi, o registrare le loro confessioni in uno spazio ristretto e intimo. Nel museo virtuale in rete, invece, i visitatori registrati possono donare le proprie esperienze al museo, caricandovi immagini e documenti.

[18] Nell’estate del 1987, Marina Abramović e il compagno Ulay, nell’ultimo dei loro relation work, titolato The lovers, partendo dai due punti opposti della Muraglia Cinese, intraprendono un lunghissimo percorso a piedi (durato tre mesi) al solo scopo di dirsi addio. Si tratta di una rappresentazione molto significativa del lento processo di accettazione e consapevolezza della separazione tra amanti.

[19] Il Museum of Ordinary Objects, su progetto di Karan Talwar/Harkat Studios, Choiti Ghosh/Tram Arts Trust e Sananda Mukhopadhyay/Extension Arts, è un museo itinerante, nato a Mumbai nel 2016, allo scopo di far trovare nelle storie personali raccontate dagli oggetti quotidiani donati, un’eco delle proprie esperienze.

[20] Elena Inchingolo, NUOVE PROSPETTIVE MUSEOLOGICHE: LA CULTURA COME DISPOSITIVO DI RELAZIONE ED INCLUSIVITÀ in «Il Giornale delle Fondazioni», Umberto Allemandi & C., 2018 http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/nuove-prospettive-museologiche-la-cultura-come-dispositivo-di-relazione-ed-inclusivit%C3%A0

[21] I tre dispositivi sonori ripropongono: suoni continui udibili solo nelle immediate vicinanze delle teche; suoni udibili a intervalli regolari di trenta o quarantacinque minuti, da ogni angolo del museo e dall’ingresso; suoni udibili a intervalli regolari di una decina di minuti da alcune zone del museo.

[22] Elena Inchingolo, NUOVE PROSPETTIVE MUSEOLOGICHE: LA CULTURA COME DISPOSITIVO DI RELAZIONE ED INCLUSIVITÀ , cit.

[23] All’interno del percorso espositivo, Orhan Pamuk ingloba Un modesto manifesto per i musei, ovvero l’enunciazione di undici principi che riflettono sul ruolo dei musei nella contemporaneità. Il testo completo del manifesto è contenuto in Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Museo dell’innocenza, Istanbul, Torino, Einaudi, 2012, pp. 54-57

[24] Michela Rota, op. cit., p. 49.

[24] Michela Rota, op. cit., p. 49.

Storie di oggetti (e di sogni) perduti.

Musei contemporanei per ritrovarsi.

Serena Dal Puglia,

Giugno 2022

Man mano che la nostra anima si concentra sugli oggetti, possiamo sentire nel nostro cuore spezzato il mondo nella sua interezza e accettare le nostre sofferenze. Ciò che rende possibile questa accettazione è custodito negli sguardi degli spettatori: non è alla bottiglia di gassosa che Kemal aveva conservato per anni vicino alla testiera del letto perché Füsun l’aveva sfiorata con le labbra, né al cuore di porcellana rotto che ci rivolgiamo, ma alla folla che c’è dietro, all’altro mondo, a un luogo fuori dal Tempo – a voi.

Orhan Pamuk, 2012[1]

In svariati progetti contemporanei di musei permanenti e mostre temporanee, i sentimenti della perdita e del lutto hanno guidato la costruzione di raccolte e di collezioni di oggetti, protagoniste di esposizioni, anche fortemente sperimentali.

In esse, la cultura materiale viene portata al centro della narrazione. L’oggetto comune, anonimo per origine, ma intimamente familiare, tangibile, in una riconosciuta capacità di evocare e di ricomporre la memoria di momenti andati in frantumi, fornisce al visitatore un’opportunità significativa di condivisione empatica, sia sul piano umano, suscitando un nucleo di sentimenti e di emozioni profonde e condivisibili, che su quello storico, individuando e avvicinando i visitatori ai principi fondamentali di convivenza di una società collaborativa. La reazione psicologica suscitata dal rapporto diretto con l’oggetto, sopravvissuto alla perdita, è per il visitatore l’inizio di un processo di riconoscimento (di catarsi e accettazione del dolore) ritrovato in un comune sentire, collettivo, universale.

Concepiti come luoghi dell’incontro e della relazione, i musei contemporanei si aprono alle comunità e alle storie individuali, perseguendo l’obiettivo di una necessaria rivoluzione culturale, che favorisca la costruzione di un terreno di dialogo e di cooperazione tra gli individui, discutendone le dimensioni etiche e indagando su come essa possa dirigersi verso la creazione di una società globale sinergica e interconnessa.

All’interno delle politiche museologiche contemporanee si assiste ad un radicale cambio di paradigma che interviene nelle scritture espositive e nelle strategie di emotional engagement. Nuove strategie di audience development[2] sottolineano l’importanza dell’accessibilità museale, descritta attraverso l’attivazione di processi progettuali coinvolgenti e partecipativi che, tramite una costruzione narrativa significativa, sappiano produrre connessioni, condivisione e consapevolezza[3].

Con pesi e sfumature diversi, una grande quantità di progetti costruiti “dal basso” costituiscono riferimenti strategici per attivare un’ampia riflessione sul significato e sul ruolo delle produzioni culturali nella contemporaneità e sull’importanza del dialogo e dell’inclusività in processi progettuali innovativi, in grado di intervenire nelle politiche del quotidiano generando effetti positivi per le persone e per le comunità.  

Intorno all’empatia sono nate numerose e nuove forme di pensiero poste alla base di molti progetti contemporanei[4]e di buone pratiche sociali, basate sulla cooperazione, all’interno di processi di produzione (e condivisione) culturale. In queste nuove prospettive di patrimonializzazione, anche interamente gestite dalle comunità, il design, quale facilitatore dialogico e relazionale, in grado di saper leggere e interpretare la complessità dei fenomeni, si trova sempre più spesso ad operare all’interno di strategie progettuali che sappiano sviluppare nuove modalità di condivisione e sappiano generare cultura e consapevolezza identitaria.

Nello scenario contemporaneo, il design può definirsi come un attivatore sociale, in grado di orientare la società al benessere collettivo promuovendo comportamenti collaborativi mediante l’attivazione di esperienze condivise[5].

In tali nuove prospettive, i musei sono a un punto di svolta per il ruolo e la rilevanza che si propongono di assumere all’interno della società contemporanea. Essi possono assumere un ruolo proattivo nella costruzione e diffusione di conoscenza, coinvolgendo il pubblico nei processi di produzione di contenuti scientifici e culturali[6] e nella costruzione di un sistema valoriale comune. 

L’ambito multidisciplinare dell’exhibition design, presente nell’interezza dei processi, interviene nella progettazione di un ambiente relazionale fortemente comunicativo, narrativo, proiettato al coinvolgimento delle persone e alla promozione di trasformazioni socio-comportamentali da diffondere in un campo d’azione comune. All’exhibition spetta il ruolo di decidere come rappresentare la storia che le collezioni raccontano, in modo da creare connessioni ed attivare relazioni e cooperazione, senza generare sovrastrutture di significato, ma ponendo al centro gli oggetti e la narrazione (salvifica) dei quali si fanno portatori.

 

Storie di oggetti, di sogni, d’amore perduti. I progetti.

Il Jüdische Museum di Berlino è il progetto capostipite di una pratica espositiva – e di rinnovate ragioni museologiche – che, facendo leva sulla capacità degli oggetti di istituire un rapporto di prossimità emotiva e di immedesimazione del visitatore con la perdita subita dalle vittime del genocidio nazista, in un processo di rispecchiamento e di conoscenza, promuove una preziosa presa di coscienza utile alla previsionalità di azioni future pacifiche e filantropiche[7].

Gli oggetti narrano le storie personali che contribuiscono ad evidenziare aspetti controversi e nascosti rispetto la storia ufficiale. Le implicazioni culturali, storiche, sociali, affettive contenute in essi li rendono strumenti dal forte grado relazionale e testimoniale, «che un giorno diranno chi siamo alle generazioni future»[8].

La vicinanza fisica ed emotiva suscitata da oggetti di uso comune, si colloca alla base di una serie di progetti contemporanei la cui missione culturale di ricordare, e nel contempo denunciare, l’orrore di violente azioni di odio e intolleranza a svantaggio di minoranze etniche, si realizza attraverso la raccolta, la conservazione e l’esposizione di collezioni di oggetti appartenuti alle vittime[9] (Fig. 1), che acquisiscono un significato straordinario[10] di speranza. Nella mostra Stories of survival: object image – memory organizzata dall’Illinois Holocaust Museum & Education Center, più di 60 oggetti personali portati in America dai sopravvissuti all’Olocausto e al genocidio in tutto il mondo (tra cui Armenia, Bosnia, Cambogia, Iraq, Ruanda, Sud Sudan e Siria) sono esposti insieme alle fotografie del documentarista Jim Lommasson (Fig. 2). Le storie scritte a mano dai sopravvissuti e dai loro familiari sono restituite graficamente in composizione con le fotografie degli oggetti in mostra; il racconto di vite strappate ad una placida quotidianità si fa più vivo; il visitatore lo sente vicino, tangibile, potenzialmente proprio.

Il progetto per un Museo, Archivio e Centro sulle migrazioni del Mediterraneo[11] di Lampedusa, nato con l’obiettivo di costituire un museo diffuso che avrebbe custodito gli oggetti recuperati dai soccorritori nei barconi in fondo al mare, nasce come «luogo di accoglienza e di riflessione per raccontare, attraverso l’archivio e i suoi materiali, le storie delle culture migranti e i processi in atto nel Mediterraneo»[12]. Nel contempo l’attività di ricerca antropologica, storica e artistica, riconosce ai reperti un valore di testimonianza storica fondamentale, attraverso cui leggere e interpretare i fenomeni migratori, entro una dimensione umana di carattere universale. Sviluppato da un team di storici dell’arte, antropologi, esperti di migrazioni, l’obiettivo di una fondazione che accogliesse le competenze delle persone migranti e le integrasse in un percorso inclusivo, coniuga l’approccio scientifico ad una dimensione politica e sociale[13]. In mostra, nella loro nudità essenziale, gli oggetti esposti sono i simboli di una materialità reputata indispensabile per poter affrontare il viaggio verso il sogno di una vita migliore. L’apertura del Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo[14], nella stessa isola, con l’intento di confrontare e «ricomporre la storia millenaria del Mediterraneo, con le sue straordinarie e variegate espressioni culturali, ma anche i suoi drammi»[15], struttura un percorso espositivo di oggetti che trova il culmine significativo in un racconto multimediale di suoni e immagini in movimento, una stanza del naufragio (Fig. 3), nella quale l’enfasi dell’esperienza della traversata, ne racconta e ne trasferisce la fatica, il rischio di chi è disposto a perdere tutto nel desiderio di trovare il futuro.

La scrittura museale di questi progetti incarna l’idea di un museo inteso quale dispositivo disciplinante, catartico, capace di neutralizzare (o convogliare come energia positiva) il portato emotivo, doloroso della perdita e della separazione, attraverso il potere degli oggetti esposti.

Situato nel palazzo barocco di Kulmer nella Città Alta di Zagabria, il Museo delle relazioni interrotte, fondato dalla produttrice cinematografica Olinka Vištica e dallo scultore Dražen Grubiši, al termine della loro storia d’amore durata quattro anni, si nutre di collezioni di oggetti donati da ex amanti[16], basandosi su un processo di patrimonializzazione interamente affidato alla comunità e alle storie individuali. Lo spazio espositivo del museo[17], in un ambiente terso e interamente bianco, espone con essenzialità la collezione dei reperti (Fig. 4). In mostra con il riferimento della data e del luogo della relazione (unico tratto biografico che li contraddistingue) gli oggetti, esclusivamente accompagnati dalle annotazioni e dai micro-racconti scritti dai donatori medesimi, divengono i protagonisti di “‘percorsi consapevoli di ’accettazione” della perdita e della separazione[18], estensibili ad un’esperienza  universale[19] (Fig. 5).

Ispirato all’omonimo romanzo di Orhan Pamuk, il Museo dell’Innocenza di Instanbul raccoglie gli oggetti ossessivamente collezionati da Kemal, in ricordo dell’amata Füsun.

Nelle piccole teche lignee che scandiscono i capitoli dell’opera letteraria, gli oggetti esposti sono in grado di rivelare emozioni e significati del tutto nuovi, grazie alla relazione che instaurano tra essi (Fig. 6).

«L’operazione concettuale condotta da Pamuk rende gli oggetti racchiusi nelle vetrine (oggetti trovati, quotidiani, non preziosi, scovati nei mercatini istanbulioti) non importanti in quanto originali ma in quanto dispositivo di narrazione»[20]. I micro-paesaggi raccontati dagli oggetti nelle teche/wunderkammer di Pamuk, entrando in risonanza con la sfera più emozionale e intima di ogni persona, affondano nel repertorio privato emotivo personale.

Nel contempo, le implicazioni culturali contenute negli oggetti divengono anche l’espediente narrativo per ricostruire il racconto significativo di un’intera nazione, della sua cultura, dei suoi usi e costumi, delle persone che la abitano. Tre tipi di impianti audio[21] presenti nel museo contribuiscono a restituire il paesaggio sonoro quotidiano della Istanbul all’epoca in cui si svolge la storia del romanzo (il sibilo di un battello a vapore, il fischietto di una guardia notturna, le voci squillanti del venditore di boza e quelle dei passanti), immergendo lo spazio espositivo del museo (e il visitatore) in un’atmosfera immersiva e coinvolgente.

«Costruiti intorno alle persone e alle loro storie, nelle quali anche gli oggetti più quotidiani acquistano forza e pregnanza»[22], i musei della contemporaneità[23] riguardano visioni e orizzonti desiderabili verso i quali muoversi, come scenari all’interno dei quali attivare processi di comprensione dell’altro, promuovere contesti di azione favorevoli all’uomo e alla comunità globale, mettendo in gioco i comportamenti culturali delle persone, la loro stessa antropologia culturale, la loro disponibilità ad aprirsi. Si tratta di obiettivi complessi, ma la sfida per riportare gli istituti museali a svolgere un ruolo di primaria importanza nella società contemporanea rende necessario interpretare e reinterpretare i processi culturali come portatori di innovazione, utilizzando, nel caso dei musei, anche le collezioni e gli oggetti per la creazione di nuovo valore e di orientamento al futuro[24].

Bibliografia

Libri

  • Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo della crisi, Milano, Mondadori, 2010
  • Isabella Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, Roma, Laterza, 2010
  • Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Museo dell’innocenza, Istanbul, Torino, Einaudi, 2012
  • Ezio Manzini, Design, When Everybody Designs. An Introduction to Design for Social Innovation, Massachusetts, London, The MIT Press Cambridge, 2015
  • Olinka Vištica e Dražen Grubišić, Il museo delle relazioni interrotte. Ciò che resta dell’amore, in 203 oggetti, Milano, Mondadori, 2018
  • Michela Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Milano, Editrice Bibliografica, 2019

Articoli

  • Mara Rossi, Life Behaviour Design, in «DiiD» 58/14D, 2014
  • Anna Chiara Cimoli, Musei, pregiudizi, empatia. Gettare il corpo nel dialogo in «Roots and Routes. Research on visual cultures», 2016
    https://www.roots-routes.org/musei-pregiudizi-empatia-gettare-corpo-nel-dialogoannachiara-cimoli/
  • Mara Rossi, Migliorare i comportamenti e le relazioni sociali mediante l’innovazione dei processi partecipativi driven design in «I+Diseño», Vol. 11, aprile, 2016
  • Elena Inchingolo, NUOVE PROSPETTIVE MUSEOLOGICHE: LA CULTURA COME DISPOSITIVO DI RELAZIONE ED INCLUSIVITÀ in «Il Giornale delle Fondazioni», Umberto Allemandi & C., 2018. http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/nuove-prospettive-museologiche-la-cultura-come-dispositivo-di-relazione-ed-inclusivit%C3%A0
  • Maria Giovanna Mancini, Soggettività ed empatia: il Museo delle Relazioni interrotte di Zagabria in Invernizzi S., Maillet A., Villa G. C. F.  (2019), (a cura di), Dove va il museo, Centro Arti Visive Università degli Studi di Bergamo, 2019 Disponibile su http://cav.unibg.it/elephant_castle

Note:

[1] Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Il museo dell’innocenza, Istanbul, Einaudi, Torino, 2012 (1 ristampa, 2015), p. 195.

[2] «La rilevanza del coinvolgimento dei pubblici nei beni culturali e nei musei è vista da tempo dall’Unione Europea come uno dei temi sui quali concentrare ricerche e risorse; nelle linee di indirizzo “l’audience development e l’audience engagement, ovvero le strategie per dialogare anche con i pubblici tradizionalmente lontani dalle frequentazioni museali, si ripongono, infatti, grandi attese per una più incisiva capacità di allargamento della platea di riferimento, nella consapevolezza del fatto che la mancata partecipazione delle persone alla cultura ha effetti limitanti e sperequativi anche in termini culturali, sociali ed economici”[...]». In Michela Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Editrice Bibliografica, Milano, 2019, pp. 64, 65.

[3] Mara Rossi, Migliorare i comportamenti e le relazioni sociali mediante l’innovazione dei processi partecipativi driven design in «I+Diseño», Vol. 11, aprile, 2016, p. 65.

[4] Per citarne soltanto alcuni: l’ottava edizione dell’International Design Biennial di Saint-Etienne (14-31 marzo 2013) ha proposto come tema portante Empatia, l’esperienza dell’altro che ha prodotto fruttuose riflessioni collettive e da cui sono nate interessanti mostre ed esposizioni. L’Empathy Museum di Londra (2015), tramite l’attivazione di esperienze performative partecipative, indaga (e promuove) l’attitudine della gente di saper entrare nell’esperienza degli altri.

[5] Mara Rossi, op. cit.

[6] Michela Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Editrice Bibliografica, Milano, 2019

[7] Maria Giovanna Mancini, Soggettività ed empatia: il Museo delle Relazioni interrotte di Zagabria in Invernizzi S., Maillet A., Villa G. C. F. (2019), (a cura di), Dove va il museo, Centro Arti Visive Università degli Studi di Bergamo, 2019 Disponibile su http://cav.unibg.it/elephant_castle

[8] Neil MacGregor, La Storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi, Milano, 2012, p. 660.

[9] Nel sito 50 Objects/Stories. The American Japanese Incarceration sono virtualmente esposti 50 oggetti dell’omonimo progetto, che narrano le storie delle vittime dell’internamento dei giapponesi negli Stati Uniti, avvenuto nel corso della Seconda guerra mondiale. Per un approfondimento vd. https://50objects.org/

[10] «WHEN YOU’VE LOST EVERYTHING, A SINGLE OBJECT CAN TAKE AN EXTRAORDINARY MEANING» è lo slogan della mostra Stories of survival: object - image - memory (19 Luglio 2018 – 13 Gennaio 2019) organizzata dall’Illinois Holocaust Museum & Education Center in collaborazione col documetarista Jim Lommasson.

[11] Nato a Lampedusa da un’iniziativa del collettivo Askavusa, che ha salvato dalla distruzione e collezionato centinaia di oggetti appartenuti alle persone migranti sbarcate sull’isola dal 2008. Insieme alle associazioni Isole e AMM-Archivio delle memorie migranti, nel 2011, il progetto si è sviluppato sotto la guida e il coordinamento del professore Giuseppe Basile.

[12] In https://isole.blog/isola-06-2/museo-delle-migrazioni-di-lampedusa/

[13] La prima fase del progetto ha visto la creazione di un sistema di catalogazione e di conservazione che tenesse conto di tipologie molto diverse di oggetti (da indumenti a stoviglie, lettere personali, fotografie, diari, album di fotografie); la seconda fase ha portato alla collaborazione con la BCRS, Biblioteca Centrale della Regione Sicilia che ha realizzato il restauro vero e proprio e la messa in sicurezza dei reperti cartacei.

[14] Inaugurato a Lampedusa il 3 giugno 2016, il museo nasce da un progetto collaborativo del Comitato 3 ottobre, con il Comune di Lampedusa e Linosa, il MIUR e l’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra. Il museo contiene anche alcuni reperti storici forniti dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra che ricordano i tanti profughi causati dalla Seconda Guerra Mondiale nel nostro paese, le cui sofferenze sono ora rivissute da tutti coloro che nel mondo fuggono per cercare una terra più sicura.

[15] In http://musei.beniculturali.it/progetti/lampedusa-verso-il-museo-della-fiducia-e-del-dialogo-per-il mediterraneo

[16] La collezione è stata esposta al pubblico, per la prima volta, nel 2006, nella gipsoteca di Zagabria, in occasione del 41º Salone d’arte di Zagabria. Nel 2011 l’iniziativa ha ricevuto il premio Kenneth Hudson per il museo più innovativo d’Europa.

[17] Il museo contiene anche un Confessionale, che costituisce uno spazio dedicato all’interazione con i visitatori, in cui questi possono conservare i propri oggetti o messaggi, o registrare le loro confessioni in uno spazio ristretto e intimo. Nel museo virtuale in rete, invece, i visitatori registrati possono donare le proprie esperienze al museo, caricandovi immagini e documenti.

[18] Nell’estate del 1987, Marina Abramović e il compagno Ulay, nell’ultimo dei loro relation work, titolato The lovers, partendo dai due punti opposti della Muraglia Cinese, intraprendono un lunghissimo percorso a piedi (durato tre mesi) al solo scopo di dirsi addio. Si tratta di una rappresentazione molto significativa del lento processo di accettazione e consapevolezza della separazione tra amanti.

[19] Il Museum of Ordinary Objects, su progetto di Karan Talwar/Harkat Studios, Choiti Ghosh/Tram Arts Trust e Sananda Mukhopadhyay/Extension Arts, è un museo itinerante, nato a Mumbai nel 2016, allo scopo di far trovare nelle storie personali raccontate dagli oggetti quotidiani donati, un’eco delle proprie esperienze.

[20] Elena Inchingolo, NUOVE PROSPETTIVE MUSEOLOGICHE: LA CULTURA COME DISPOSITIVO DI RELAZIONE ED INCLUSIVITÀ in «Il Giornale delle Fondazioni», Umberto Allemandi & C., 2018 http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/nuove-prospettive-museologiche-la-cultura-come-dispositivo-di-relazione-ed-inclusivit%C3%A0

[21] I tre dispositivi sonori ripropongono: suoni continui udibili solo nelle immediate vicinanze delle teche; suoni udibili a intervalli regolari di trenta o quarantacinque minuti, da ogni angolo del museo e dall’ingresso; suoni udibili a intervalli regolari di una decina di minuti da alcune zone del museo.

[22] Elena Inchingolo, NUOVE PROSPETTIVE MUSEOLOGICHE: LA CULTURA COME DISPOSITIVO DI RELAZIONE ED INCLUSIVITÀ , cit.

[23] All’interno del percorso espositivo, Orhan Pamuk ingloba Un modesto manifesto per i musei, ovvero l’enunciazione di undici principi che riflettono sul ruolo dei musei nella contemporaneità. Il testo completo del manifesto è contenuto in Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti. Museo dell’innocenza, Istanbul, Torino, Einaudi, 2012, pp. 54-57

[24] Michela Rota, op. cit., p. 49.

[24] Michela Rota, op. cit., p. 49.