Note su un cineforum

Federico Antonini,

Febbraio 2020

Note su Flicks Books, cineforum @ bruno, Venezia
In occasione di BookBiennale
29-30-31 agosto 2019

29 agosto
John Berger, Ways of seeing ep.1 (1972)
Chris Marker, La Jetée (1962)
Hollis Frampton, Poetic Justice (1972)

30 agosto
Time enough at last, The twilight zone (full) (1959)
The Obsolete man, The twilight zone (full) (1961)
Alain Resnais, Toute la mémoire du monde (1956)

31 agosto
US National Archives, The day the books went blank (1961)
John Morgan, Blank dummy (2011)
Hans-Jörg Pochmann The information (2016), Rollenwechsel (2016)

La selezione di questi dieci oggetti – che chiameremo corti per economia, riferendoci pigramente alla durata e non all’intenzione di rifarsi a un genere cinematografico – supera la letteralità di una raccolta di film tratti da libri, film che contengono libri, o meta-narrazioni scaturite da libri letti da un personaggio nello sviluppo della trama stessa. L’idea è quella di raccogliere, da intendersi come avvicinare, casi notevoli di relazioni di presenza/assenza tra immagine in movimento e rappresentazione cartacea o di oggetti editoriali; impossibile, quindi, non ragionare su specificità dei medium, rimediazione, aboutness, etc. scomodando – irresponsabilmente – Arthur C. Danto, Rosalind Krauss, Clement Greenberg, Jay Bolter e Richard Grusin.

La distanza di geografie, epoche, intenzioni e contesti che hanno visto la nascita di questi corti chiedono uno sforzo di orientamento per capire di cosa stiamo parlando, ma il contenuto di questo breve ciclo di proiezioni che chiameremo per economia cineforum – pur non prevedendo un momento di discussione, ma continuando la metafora cinematografica ispirata dalla simultaneità con i giorni della settantaseiesima mostra del cinema 2019 – è nel percorso descritto dalla sequenza divisa in tre aree non stagne, forse circolari; in senso ampio e inclusivo: immagine come copia, biblioteche e libri bianchi.

Nel nostro caso, il feticcio della proiezione da pellicola originale dei cineforum più ortodossi perde consapevolmente qualità e diventa una playlist informale di url di Youtube, Dailymotion e Vimeo, (quasi) sempre disponibile e “portatile” sebbene fragile e precaria data la frequente conflittualità legale dell’upload.
L’evento ospitato da bruno avviene in uno spostamento di situazioni e significati, riassumibile in corti : url = cineforum : playlist.

Alla richiesta di una selezione di film da proiettare in una libreria che si occupa di editoria d’arte – affine quindi a problematiche ontologiche sull’esistenza del libro al giorno d’oggi – si è risposto da una prospettiva che non appartiene a un cineasta o a un accademico di immagine cinematografica, ma a un designer di libri alla ricerca degli intrecci tra costruzione narrativa e struttura del volume, l’atterraggio delle informazioni primarie sulle pagine e il modo in cui queste ultime creano un innesco durante la fruizione, in sintesi il funzionamento di un libro visivo. 

Il primo corto è, in realtà, uno zero, inteso come base teorica e ideologica di un universo di pratiche artistiche e progettuali, consapevoli della propria posizione e esistenza, che si sono interrogate della natura simbolica e tecnica delle immagini (fisse o in movimento). È il primo dei quattro episodi di Ways of Seeing (1972), scritti da John Berger, trasmessi dalla rete generalista BBC Two, dichiaratamente ispirati a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935) di Walter Benjamin. Questo primo episodio, il più benjaminiano, quello sulla replica, diffusione e trasmissione delle immagini (gli altri trattano nudo femminile, pittura a olio e pubblicità) è il punto di partenza dei nostri collegamenti, non per ordine cronologico rispetto ai successivi, ma per la chiarezza divulgativa sulle basi dei processi di comunicazione mediati dalla tecnologia.

Nello stesso anno della trasmissione televisiva, Ways of seeing viene pubblicato in forma libro da Penguin e messo in pagina da Richard Hollis che partecipò anche all’adattamento testuale.
La struttura della pagina di Ways of seeing, antesignana dello scroll dei browser (immagini e testi in un unico “nastro”), è “contesa” con Munari che ne dichiara la paternità nella Nota allo schema grafico di Artista e Designer (1966) ma alla radice dell’influente progetto grafico troviamo gli introvabili Commentaires di Chris Marker (e Juliette Caputo), pubblicati nel 1961, come dichiarato dallo stesso Hollis su «eye magazine» 59.

Highlights: Berger vandalizza Botticelli nei primi secondi del video, una bellissima e sottile “r” moscia, l’ottima camicia, un violento cambio di acconciatura a metà episodio, alcuni trucchi metacinematografici con giochi di inquadrature ci spiegano la specificità dei medium (televisivo) meglio di Clement Greenberg. 

La Jetée di Chris Marker (1962) è una pietra miliare, non solo del cinema distopico e di sperimentazione, ma della ricerca nello storytelling in senso ampio, in cui la narrazione si snoda quasi unicamente attraverso una sequenza di fotografie accompagnate da una voce di un narratore fuori campo. Non avendo nessuna autorità per parlare degli aspetti teorici e cinematografici, rimando all’ampia letteratura condensata nell’omonimo libro di Chris Darke (uno dei massimi ricercatori di Chris Marker e curatore della retrospettiva a Whitechapel A Grin without a cat, 2014) pubblicato dal British Film institute nel 2016. Cercando un’assonanza con la costruzione e progettazione di libri, troviamo argomenti nel rapporto problematico tra il film e la sua incarnazione in libro visivo, a cura della graphic design-star Bruce Mau, pubblicata da Zone Books nel 1993 con il titolo di La Jetée – ciné-roman, giocando sul credito nell’originale photo-roman de Chris Marker

Credo che l’interesse nel capolavoro del 1962 sia nella sfida che lo spettatore accetta, ossia la ricerca dell’opera originale e soggetto della narrazione: sono le fotografie (gli scatti su pellicola fotografica)? È nelle immagini delle fotografie, le riproduzioni su pellicola cinematografica con traccia audio a margine? È nel testo? È nell’unica sequenza in movimento con audio (ambientale)? È nel workbook di Marker con le sequenze di provini a contatto esposto a Whitechapel nel 2014?
Un libro come cinè-roman, che raggruppa le immagini per scene e che contiene uno spoiler sulle citazioni di Hitchcock da parte di Marker, traducendo in una seconda lingua problematizza e moltiplica gli aspetti da osservare da vicino.

Lost & gained in translation (Federico Antonini, Progetto grafico 32)

Al contrario, le 150 copie cartacee di Poetic Justice pubblicate da Visual Studies Workshop nel 1973 traducono perfettamente le immagini in “movimento” di Hollis Frampton. Una sequenza di 240 fogli manoscritti che lentamente si impilano davanti alla camera in un set composto da un tavolo, un caffè lungo e un cactus. 

Se il raggruppamento delle fotografie – orizzontale, semantico e narrativo – di ciné-roman tradiva contemporaneamente il montaggio omogeneo del corto e la verticalità del workbook, che in qualche modo mimava la sequenza di impressione di una pellicola cinematografica, l’“inquadratura” di Poetic Justice verso il film è perfetta nella sua letteralità e nel rapporto 1:1 tra frame del film e pagina orizzontale del libro. L’unico elemento aggiunto è l’ispessimento (sembra ricalcato con lo stesso pennarello che ha segnato i fogli ripresi, sarebbe bellissimo)  della calligrafia sui fogli, sarebbe stata poco incisiva, se tradotta in maniera didascalica dalla pellicola 16mm. La “versione” libro di Poetic Justice arriva dove non è arrivato ciné-roman e risolve meglio l’atterraggio di un’operazione opaca almeno quanto La Jetée.

Note: sogno una versione libro parallela ancora più letterale, didascalica, un’edizione anastatica di quel blocco di fogli accumulati con narrazione inversa e l’obbligo di lettura con pianta e caffè. O la replica anastatica del copione, la cui esistenza moltiplica l’opacità dell’operazione. 

Interessante pensare al livello di informalità della calligrafia maiuscola e morbida del “prodotto” del copione rispetto al copione stesso, ben formalizzato e formattato a macchina.
Il soggetto è la narrazione e si incarna in
1) copione
2) fogli manoscritti
3) fogli ripresi dalla camera su pellicola
4) fogli ripresi dalla camera su pellicola stampati sulle pagine del libro.
Spingere alle estreme conseguenze la radice di One and Three Chairs.

I due episodi di Twilight Zone (Ai confini della realtà in Italia) sono due dei tre episodi che della serie nordamericana scritta da Rod Serling che ruotano intorno ai libri, il terzo To serve man, escluso per il finale demenziale. I due proiettati hanno a che fare con la vita con i libri, nello specifico i dolori di un avido lettore (Time Enough at Last, S1E8) e di un bibliotecario (The Obsolete Man, S2E29). Nel primo, Henry Bemis è un impiegato di banca ipermetrope, con una reading list infinita, forse un pessimo marito di una pessima moglie che si sente trascurata a causa dei ritmi di lettura del primo. Dopo un’apocalisse nucleare non meglio definita, si ritrova a essere l’ultimo uomo sulla terra (antefatto simile a quello di un altro episodio della serie Last man on Earth – che ha ispirato negli anni vari film e serie tv) in uno scenario romantico di rovine di una biblioteca e cumuli di libri (ruinenlust meets tsundoku) e ha tutto il tempo di cui ha bisogno per poter leggere quello che vuole. Ovviamente il karma gli impedirà di sopravvivere alla sua reading list.

L’altro episodio ha la struttura di un processo e condanna da parte di un tribunale di uno stato oscurantista che oscilla tra sovietico e nazi (a partire dalla costruzione di inquadrature e scenografie dal taglio espressionista europeo) ai danni di un bibliotecario, ritenuto colpevole di essere un membro della società divenuto inutile. L’episodio è una serenata moralista verso il valore sociale e culturale delle biblioteche contro l’oscurantismo e censura. Scritto e diretto negli USA negli anni cinquanta. 

Di una diversa retorica educativa (oltre che visioni grottesche di pile di libri) sono imbevuti i due corti successivi a cavallo del secondo e terzo segmento: Toute le memoire du monde (1956) e The day the books went blank (1961). Due film a tema bibliotecario prodotti su commissione il primo per la serie dell’Encyclopédie de Paris, il secondo dal Library extensions agency dei sei stati del New England. Antitetici in tutto, la differenza sostanziale dei due corti è che il primo è un capolavoro del cinema francese di Alain Resnais dedicato alla Biblioteca nazionale francese di Parigi. Paradossalmente al momento ci interessa il prop – materiale di scena – libresco di un aiutante luminoso come Chris Marker (nei crediti Chris and Magic Marker) e lo spazio che ricava e riempie di autonarrazione simbolica e easter egg, moltiplicando i livelli di osservazione e interpretazione come in una tavola allegorica. La sezione del corto che racconta l’acquisizione di un volume, dalla ricezione postale all’archiviazione sugli scaffali, usa come oggetto di scena un numero fittizio delle guide turistiche Petite Planete dirette dallo stesso Marker dal 1954 al 1964 con l’aiuto della designer Juliette Caputo (creditata in Toute le memoire du monde come Giulietta Caputo); il numero 25 nel corto di Resnais, non è dedicato a una nazione ma al pianeta Marte, nella reale produzione editoriale di Seuil, qualche anno dopo il numero 25 sarà dedicato alla Jugoslavia e l’ossessione nel trovare collegamenti tra i punti potrebbe far pensare a uno schema preciso. Sembra sia stato preso un numero già rilegato del volume sull’Italia, il numero 3.
Oltre a una comparsata di Marker alle prese con un carrello di libri su cui primeggia Mars, durante il segmento che ne descrive l’acquisizione vengono svelati oltre alla copertina che raffigura Lucia Bosé anche frontespizio e indice in un condensato di rimandi simbolici a Marker stesso: maschere di gatti (animale guida e tema onnipresente nella sua opera, come soggetto, come comparsa, come avatar); veneri del Botticelli con maschere tribali (tre anni prima Marker e Resnais avevano diretto Les statues meurent aussi); nomi del Pantheon di amici e miti di Marker nascosti nell’indice; la scheda archivistica che attribuisce l’autorialità a Jeannine Garane (assistente di Marker sul set di Olympia ’52) e la collocazione nel reparto astrofisica, etc.

The day the books went blank è un corto educativo/divulgativo con una committenza pubblica alle spalle e senza alcuna aspirazione artistica, se non quella accidentale conferita da una rilettura a posteriori in cui avviciniamo l’escamotage narrativo che compare nei primi minuti del film: il what if semi-fantascientifico nell’immaginare la scomparsa di ogni informazione stampata dai libri e documenti di una biblioteca – alle pratiche artistiche intorno a vuoto/monocromia/rimozione che nascevano in quegli anni. Più che focalizzarsi sulle conseguenze di un tale svuotamento di contenuti e valori per le comunità, la narrazione si focalizza su cosa fare per non arrivare alla decadenza e al disuso delle biblioteche pubbliche: raccogliere fondi!
Nella call to action finale: I libri nella tua biblioteca sono vuoti? Potrebbero esserlo se non li leggi.

In sintesi, un organismo borgesiano in grado di ospitare libri che non esistono VS la biblioteca intesa come un luogo in cui un meccanico può trovare un manuale utile a riparare una macchina.

Sfruttando la comparsa di questi prop bianchi, ossessione personale nei parallelismi tra arti concettuali e post concettuali, fotogenia/fotografia da catalogo di arredamento, comicità demenziale fino a oggetto quasi diaristico della professione di designer di oggetti editoriali, ci colleghiamo all’ultimo segmento. John Morgan (designer di libri di Londra, ha incrociato la strada con Venezia nella realizzazione dell’immagine della tredicesima Biennale arte di David Chipperfield del 2013) ci ha concesso di proiettare il suo Blank Dummy (2011) una collaborazione con Michael Harvey che mette in scena un incontro di lavoro in cui viene presentato un mock up in bianco (dummy, maquette, etc) di un testo sacro (presumibilmente una Bibbia) per una lettura da un leggio o da un altare. I clienti esigenti spesso tendono a proiettare se stessi nella pubblicazione su cui metteranno il visto, e spesso il libro subisce analisi insolite: in questo corto il cliente religioso opera una serie di test performativo-masochistici su una Bibbia vuota.

La violenza su volumi vuoti torna nei due video di Hans-Jörg Pochmann, in The information (on killing one’s darlings and creating content) (2014) in cui lo stesso Pochmann documenta una sua performance in cui scaglia ripetutamente un libro bianco contro pavimento e pareti di una stanza vuota. Sorprende quanta violenza possa sopportare un tascabile in mano a un malintenzionato. Dopo che i due volumi si sono dati forma a vicenda (ecco il collegamento all’accezione Flusseriana del titolo, to inform, dare forma), Pochmann scansionerà i resti del libro distrutto per produrre un libro cartaceo e un ebook poco più che vuoti che si perdono in un trompe l’oeil di ri-mediazioni e immagini di immagini. Kill your darlings e creazione di contenuti.

Il secondo video di Hans-Jörg Pochmann Rollenwechsel (2014) e ultimo in playlist racconta con camera fissa il cambio di una bobina di carta industriale, tra i suoni infernali dei macchinari il foglio si anima e il volume cilindrico che apparentemente è fermo nella sua rotazione, se non per la lenta crescita di spessore, diventa una sorta di fiammata di carta. Il titolo è un gioco di parole, con rollen in tedesco si indica sia ruolo che rotolo, il cambio (wechsel) di rollen è sia il cambio del rotolo industriale ma anche un riferimento allo stabilimento di Kriebstein che produce carta riciclata per volantini di supermercati, fatti a loro volta di volantini di supermercati riciclati e potenzialmente mai aperti.

Fantasie retroattive: sogno un artista Fluxus sconosciuto di quelli con la passione per la misurazione (Stanley Brouwn, Nam June Paik su tutti) che negli anni Sessanta esegue la stessa ripresa su pellicola sovrapponendo le misure dei due rotoli.

Prima immagine: Sacchetto popcorn, carta alimentare e stampa digitale (2019) design e concept di bruno.

Note:

Note su un cineforum

Federico Antonini,

Febbraio 2020

Note su Flicks Books, cineforum @ bruno, Venezia In occasione di BookBiennale 29-30-31 agosto 2019 29 agosto John Berger, Ways of seeing ep.1 (1972) Chris Marker, La Jetée (1962) Hollis Frampton, Poetic Justice (1972) 30 agosto Time enough at last, The twilight zone (full) (1959) The Obsolete man, The twilight zone (full) (1961) Alain Resnais, Toute la mémoire du monde (1956) 31 agosto US National Archives, The day the books went blank (1961) John Morgan, Blank dummy (2011) Hans-Jörg Pochmann The information (2016), Rollenwechsel (2016) La selezione di questi dieci oggetti – che chiameremo corti per economia, riferendoci pigramente alla durata e non all’intenzione di rifarsi a un genere cinematografico – supera la letteralità di una raccolta di film tratti da libri, film che contengono libri, o meta-narrazioni scaturite da libri letti da un personaggio nello sviluppo della trama stessa. L’idea è quella di raccogliere, da intendersi come avvicinare, casi notevoli di relazioni di presenza/assenza tra immagine in movimento e rappresentazione cartacea o di oggetti editoriali; impossibile, quindi, non ragionare su specificità dei medium, rimediazione, aboutness, etc. scomodando – irresponsabilmente – Arthur C. Danto, Rosalind Krauss, Clement Greenberg, Jay Bolter e Richard Grusin. La distanza di geografie, epoche, intenzioni e contesti che hanno visto la nascita di questi corti chiedono uno sforzo di orientamento per capire di cosa stiamo parlando, ma il contenuto di questo breve ciclo di proiezioni che chiameremo per economia cineforum – pur non prevedendo un momento di discussione, ma continuando la metafora cinematografica ispirata dalla simultaneità con i giorni della settantaseiesima mostra del cinema 2019 – è nel percorso descritto dalla sequenza divisa in tre aree non stagne, forse circolari; in senso ampio e inclusivo: immagine come copia, biblioteche e libri bianchi. Nel nostro caso, il feticcio della proiezione da pellicola originale dei cineforum più ortodossi perde consapevolmente qualità e diventa una playlist informale di url di Youtube, Dailymotion e Vimeo, (quasi) sempre disponibile e “portatile” sebbene fragile e precaria data la frequente conflittualità legale dell’upload. L’evento ospitato da bruno avviene in uno spostamento di situazioni e significati, riassumibile in corti : url = cineforum : playlist. Alla richiesta di una selezione di film da proiettare in una libreria che si occupa di editoria d’arte – affine quindi a problematiche ontologiche sull’esistenza del libro al giorno d’oggi – si è risposto da una prospettiva che non appartiene a un cineasta o a un accademico di immagine cinematografica, ma a un designer di libri alla ricerca degli intrecci tra costruzione narrativa e struttura del volume, l’atterraggio delle informazioni primarie sulle pagine e il modo in cui queste ultime creano un innesco durante la fruizione, in sintesi il funzionamento di un libro visivo.  Il primo corto è, in realtà, uno zero, inteso come base teorica e ideologica di un universo di pratiche artistiche e progettuali, consapevoli della propria posizione e esistenza, che si sono interrogate della natura simbolica e tecnica delle immagini (fisse o in movimento). È il primo dei quattro episodi di Ways of Seeing (1972), scritti da John Berger, trasmessi dalla rete generalista BBC Two, dichiaratamente ispirati a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935) di Walter Benjamin. Questo primo episodio, il più benjaminiano, quello sulla replica, diffusione e trasmissione delle immagini (gli altri trattano nudo femminile, pittura a olio e pubblicità) è il punto di partenza dei nostri collegamenti, non per ordine cronologico rispetto ai successivi, ma per la chiarezza divulgativa sulle basi dei processi di comunicazione mediati dalla tecnologia. Nello stesso anno della trasmissione televisiva, Ways of seeing viene pubblicato in forma libro da Penguin e messo in pagina da Richard Hollis che partecipò anche all’adattamento testuale. La struttura della pagina di Ways of seeing, antesignana dello scroll dei browser (immagini e testi in un unico “nastro”), è “contesa” con Munari che ne dichiara la paternità nella Nota allo schema grafico di Artista e Designer (1966) ma alla radice dell’influente progetto grafico troviamo gli introvabili Commentaires di Chris Marker (e Juliette Caputo), pubblicati nel 1961, come dichiarato dallo stesso Hollis su «eye magazine» 59. Highlights: Berger vandalizza Botticelli nei primi secondi del video, una bellissima e sottile “r” moscia, l’ottima camicia, un violento cambio di acconciatura a metà episodio, alcuni trucchi metacinematografici con giochi di inquadrature ci spiegano la specificità dei medium (televisivo) meglio di Clement Greenberg.  La Jetée di Chris Marker (1962) è una pietra miliare, non solo del cinema distopico e di sperimentazione, ma della ricerca nello storytelling in senso ampio, in cui la narrazione si snoda quasi unicamente attraverso una sequenza di fotografie accompagnate da una voce di un narratore fuori campo. Non avendo nessuna autorità per parlare degli aspetti teorici e cinematografici, rimando all’ampia letteratura condensata nell’omonimo libro di Chris Darke (uno dei massimi ricercatori di Chris Marker e curatore della retrospettiva a Whitechapel A Grin without a cat, 2014) pubblicato dal British Film institute nel 2016. Cercando un’assonanza con la costruzione e progettazione di libri, troviamo argomenti nel rapporto problematico tra il film e la sua incarnazione in libro visivo, a cura della graphic design-star Bruce Mau, pubblicata da Zone Books nel 1993 con il titolo di La Jetée - ciné-roman, giocando sul credito nell’originale photo-roman de Chris Marker Credo che l’interesse nel capolavoro del 1962 sia nella sfida che lo spettatore accetta, ossia la ricerca dell’opera originale e soggetto della narrazione: sono le fotografie (gli scatti su pellicola fotografica)? È nelle immagini delle fotografie, le riproduzioni su pellicola cinematografica con traccia audio a margine? È nel testo? È nell’unica sequenza in movimento con audio (ambientale)? È nel workbook di Marker con le sequenze di provini a contatto esposto a Whitechapel nel 2014? Un libro come cinè-roman, che raggruppa le immagini per scene e che contiene uno spoiler sulle citazioni di Hitchcock da parte di Marker, traducendo in una seconda lingua problematizza e moltiplica gli aspetti da osservare da vicino.Lost & gained in translation (Federico Antonini, Progetto grafico 32) Al contrario, le 150 copie cartacee di Poetic Justice pubblicate da Visual Studies Workshop nel 1973 traducono perfettamente le immagini in “movimento” di Hollis Frampton. Una sequenza di 240 fogli manoscritti che lentamente si impilano davanti alla camera in un set composto da un tavolo, un caffè lungo e un cactus.  Se il raggruppamento delle fotografie – orizzontale, semantico e narrativo – di ciné-roman tradiva contemporaneamente il montaggio omogeneo del corto e la verticalità del workbook, che in qualche modo mimava la sequenza di impressione di una pellicola cinematografica, l’“inquadratura” di Poetic Justice verso il film è perfetta nella sua letteralità e nel rapporto 1:1 tra frame del film e pagina orizzontale del libro. L’unico elemento aggiunto è l’ispessimento (sembra ricalcato con lo stesso pennarello che ha segnato i fogli ripresi, sarebbe bellissimo)  della calligrafia sui fogli, sarebbe stata poco incisiva, se tradotta in maniera didascalica dalla pellicola 16mm. La “versione” libro di Poetic Justice arriva dove non è arrivato ciné-roman e risolve meglio l’atterraggio di un’operazione opaca almeno quanto La Jetée. Note: sogno una versione libro parallela ancora più letterale, didascalica, un’edizione anastatica di quel blocco di fogli accumulati con narrazione inversa e l’obbligo di lettura con pianta e caffè. O la replica anastatica del copione, la cui esistenza moltiplica l’opacità dell’operazione.  Interessante pensare al livello di informalità della calligrafia maiuscola e morbida del “prodotto” del copione rispetto al copione stesso, ben formalizzato e formattato a macchina. Il soggetto è la narrazione e si incarna in 1) copione 2) fogli manoscritti 3) fogli ripresi dalla camera su pellicola 4) fogli ripresi dalla camera su pellicola stampati sulle pagine del libro. Spingere alle estreme conseguenze la radice di One and Three Chairs. I due episodi di Twilight Zone (Ai confini della realtà in Italia) sono due dei tre episodi che della serie nordamericana scritta da Rod Serling che ruotano intorno ai libri, il terzo To serve man, escluso per il finale demenziale. I due proiettati hanno a che fare con la vita con i libri, nello specifico i dolori di un avido lettore (Time Enough at Last, S1E8) e di un bibliotecario (The Obsolete Man, S2E29). Nel primo, Henry Bemis è un impiegato di banca ipermetrope, con una reading list infinita, forse un pessimo marito di una pessima moglie che si sente trascurata a causa dei ritmi di lettura del primo. Dopo un’apocalisse nucleare non meglio definita, si ritrova a essere l’ultimo uomo sulla terra (antefatto simile a quello di un altro episodio della serie Last man on Earth – che ha ispirato negli anni vari film e serie tv) in uno scenario romantico di rovine di una biblioteca e cumuli di libri (ruinenlust meets tsundoku) e ha tutto il tempo di cui ha bisogno per poter leggere quello che vuole. Ovviamente il karma gli impedirà di sopravvivere alla sua reading list. L’altro episodio ha la struttura di un processo e condanna da parte di un tribunale di uno stato oscurantista che oscilla tra sovietico e nazi (a partire dalla costruzione di inquadrature e scenografie dal taglio espressionista europeo) ai danni di un bibliotecario, ritenuto colpevole di essere un membro della società divenuto inutile. L’episodio è una serenata moralista verso il valore sociale e culturale delle biblioteche contro l’oscurantismo e censura. Scritto e diretto negli USA negli anni cinquanta.  Di una diversa retorica educativa (oltre che visioni grottesche di pile di libri) sono imbevuti i due corti successivi a cavallo del secondo e terzo segmento: Toute le memoire du monde (1956) e The day the books went blank (1961). Due film a tema bibliotecario prodotti su commissione il primo per la serie dell’Encyclopédie de Paris, il secondo dal Library extensions agency dei sei stati del New England. Antitetici in tutto, la differenza sostanziale dei due corti è che il primo è un capolavoro del cinema francese di Alain Resnais dedicato alla Biblioteca nazionale francese di Parigi. Paradossalmente al momento ci interessa il prop – materiale di scena – libresco di un aiutante luminoso come Chris Marker (nei crediti Chris and Magic Marker) e lo spazio che ricava e riempie di autonarrazione simbolica e easter egg, moltiplicando i livelli di osservazione e interpretazione come in una tavola allegorica. La sezione del corto che racconta l’acquisizione di un volume, dalla ricezione postale all’archiviazione sugli scaffali, usa come oggetto di scena un numero fittizio delle guide turistiche Petite Planete dirette dallo stesso Marker dal 1954 al 1964 con l’aiuto della designer Juliette Caputo (creditata in Toute le memoire du monde come Giulietta Caputo); il numero 25 nel corto di Resnais, non è dedicato a una nazione ma al pianeta Marte, nella reale produzione editoriale di Seuil, qualche anno dopo il numero 25 sarà dedicato alla Jugoslavia e l’ossessione nel trovare collegamenti tra i punti potrebbe far pensare a uno schema preciso. Sembra sia stato preso un numero già rilegato del volume sull’Italia, il numero 3. Oltre a una comparsata di Marker alle prese con un carrello di libri su cui primeggia Mars, durante il segmento che ne descrive l’acquisizione vengono svelati oltre alla copertina che raffigura Lucia Bosé anche frontespizio e indice in un condensato di rimandi simbolici a Marker stesso: maschere di gatti (animale guida e tema onnipresente nella sua opera, come soggetto, come comparsa, come avatar); veneri del Botticelli con maschere tribali (tre anni prima Marker e Resnais avevano diretto Les statues meurent aussi); nomi del Pantheon di amici e miti di Marker nascosti nell’indice; la scheda archivistica che attribuisce l’autorialità a Jeannine Garane (assistente di Marker sul set di Olympia ’52) e la collocazione nel reparto astrofisica, etc. The day the books went blank è un corto educativo/divulgativo con una committenza pubblica alle spalle e senza alcuna aspirazione artistica, se non quella accidentale conferita da una rilettura a posteriori in cui avviciniamo l’escamotage narrativo che compare nei primi minuti del film: il what if semi-fantascientifico nell’immaginare la scomparsa di ogni informazione stampata dai libri e documenti di una biblioteca – alle pratiche artistiche intorno a vuoto/monocromia/rimozione che nascevano in quegli anni. Più che focalizzarsi sulle conseguenze di un tale svuotamento di contenuti e valori per le comunità, la narrazione si focalizza su cosa fare per non arrivare alla decadenza e al disuso delle biblioteche pubbliche: raccogliere fondi! Nella call to action finale: I libri nella tua biblioteca sono vuoti? Potrebbero esserlo se non li leggi. In sintesi, un organismo borgesiano in grado di ospitare libri che non esistono VS la biblioteca intesa come un luogo in cui un meccanico può trovare un manuale utile a riparare una macchina. Sfruttando la comparsa di questi prop bianchi, ossessione personale nei parallelismi tra arti concettuali e post concettuali, fotogenia/fotografia da catalogo di arredamento, comicità demenziale fino a oggetto quasi diaristico della professione di designer di oggetti editoriali, ci colleghiamo all’ultimo segmento. John Morgan (designer di libri di Londra, ha incrociato la strada con Venezia nella realizzazione dell’immagine della tredicesima Biennale arte di David Chipperfield del 2013) ci ha concesso di proiettare il suo Blank Dummy (2011) una collaborazione con Michael Harvey che mette in scena un incontro di lavoro in cui viene presentato un mock up in bianco (dummy, maquette, etc) di un testo sacro (presumibilmente una Bibbia) per una lettura da un leggio o da un altare. I clienti esigenti spesso tendono a proiettare se stessi nella pubblicazione su cui metteranno il visto, e spesso il libro subisce analisi insolite: in questo corto il cliente religioso opera una serie di test performativo-masochistici su una Bibbia vuota. La violenza su volumi vuoti torna nei due video di Hans-Jörg Pochmann, in The information (on killing one’s darlings and creating content) (2014) in cui lo stesso Pochmann documenta una sua performance in cui scaglia ripetutamente un libro bianco contro pavimento e pareti di una stanza vuota. Sorprende quanta violenza possa sopportare un tascabile in mano a un malintenzionato. Dopo che i due volumi si sono dati forma a vicenda (ecco il collegamento all’accezione Flusseriana del titolo, to inform, dare forma), Pochmann scansionerà i resti del libro distrutto per produrre un libro cartaceo e un ebook poco più che vuoti che si perdono in un trompe l’oeil di ri-mediazioni e immagini di immagini. Kill your darlings e creazione di contenuti. Il secondo video di Hans-Jörg Pochmann Rollenwechsel (2014) e ultimo in playlist racconta con camera fissa il cambio di una bobina di carta industriale, tra i suoni infernali dei macchinari il foglio si anima e il volume cilindrico che apparentemente è fermo nella sua rotazione, se non per la lenta crescita di spessore, diventa una sorta di fiammata di carta. Il titolo è un gioco di parole, con rollen in tedesco si indica sia ruolo che rotolo, il cambio (wechsel) di rollen è sia il cambio del rotolo industriale ma anche un riferimento allo stabilimento di Kriebstein che produce carta riciclata per volantini di supermercati, fatti a loro volta di volantini di supermercati riciclati e potenzialmente mai aperti. Fantasie retroattive: sogno un artista Fluxus sconosciuto di quelli con la passione per la misurazione (Stanley Brouwn, Nam June Paik su tutti) che negli anni Sessanta esegue la stessa ripresa su pellicola sovrapponendo le misure dei due rotoli. Prima immagine: Sacchetto popcorn, carta alimentare e stampa digitale (2019) design e concept di bruno.

Note: